Uno scorcio sulla Storia di Milano – Il Vicolo dei Lavandai

Il vicolo prende il nome da un lavatoio, rimasto tuttora in gran parte intatto, in uso dall’ Ottocento fino agli anni ’50 del Novecento per lavare indumenti e biancheria.

Originariamente era chiamato “Vicol de Bugandee” (da “bugada”, bucato) e ha preso l’attuale denominazione solo successivamente.

La declinazione maschile di “lavandai” è data dal fatto che ad occuparsi del lavaggio erano gli uomini, organizzati nella Confraternita Lavandai di Milano sin dal XVIII secolo.

 

Chi era la Confraternita dei Lavandai?

La Confraternita dei Lavandai si occupava soprattutto di lavare la biancheria delle famiglie abbienti, che la raccoglievano in gerle che venivano poi ritirate e trasportate a spalla nel vicolo.

I lavandai si inginocchiavano su uno dei “brellin” di legno posti in fila sotto la tettoia e, dopo aver sciacquato i panni nel ruscelletto (“el fossett”), alimentato dalle acque del Naviglio Grande,  li strofinavano sugli stalli di pietra tuttora presenti.

Già durante la Seconda Guerra Mondiale, però, i lavoratori della confraternita erano stati sostituiti dalle donne, che portavano lì i propri panni da lavare.

Il materiale usato per il lavaggio, in assenza dei moderni detersivi, era dei più vari: dal “palton”, una pasta composta da cenere, soda e sapone fino ad impasti a base di letame vaccino e liscivia.

In assenza di questi materiali, però, si versava semplicemente acqua bollente mischiata con cenere su di un panno chiamato “ceneracciolo”.

Inoltre, in un cortile adiacente al Vicolo, è ancora visibile una centrifuga dell’inizio del Secolo XX, utilizzata per asciugare i panni.

Alla fine di una delle due estremità del Vicolo vi è una piazzetta in che, quando i Navigli assolvevano ancora alla propria funzione originaria di rotta commerciale, era il luogo di scarico delle merci portate con i barconi fino alla Darsena.

Il Vicolo ospitava anche un’antica drogheria che vendeva sapone, candeggina, spazzole e altri strumenti da bucato. I locali della bottega, ora chiusa, sono attualmente occupati da un ristorante. La struttura principale è ancora in stato di ottima conservazione.

L’incanto e la bellezza del luogo hanno ispirato, nel tempo, numerosi scrittori e poeti. A tal proposito, si può ricordare la poesia intitolata “Vicol di Lavandèe”, la quale valse a Luigi Cazzetta, nel 1964, il premio Carlo Porta.  

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